Il Consiglio di Stato, in relazione all’in house providing plurifrazionato o pluripartecipato e alla connessa nozione di controllo analogo congiunto, con una recente pronuncia (Cons. Stato., Sez. V, 30 aprile 2018, n. 2599 in www.giustizia-amministrativa.it) ha condiviso la posizione espressa dalla Corte di Giustizia europea (Sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, Econord; §§ 28 – 33) per cui non è indispensabile che ciascuna delle amministrazioni socie «detenga da sola un potere di controllo individuale» sulla società, ma è sufficiente che i soci pubblici esercitino un controllo congiunto, attraverso la partecipazione di ciascuno di essi «sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta», senza necessità del possesso di una quota minima di partecipazione al capitale sociale (cfr. Cons. Stato, V, 18 luglio 2017, n. 3554).

Per contro, per il Consiglio di Stato occorre che in virtù della partecipazione azionaria acquisita non sia preclusa alla singola autorità «la benché minima possibilità di partecipare al controllo» sulla società, come controllo esercitabile in modo collettivo da tutti gli enti pubblici partecipanti e, per quanto concerne la posizione del singolo, in modo effettivo, secondo i meccanismi di funzionamento dell’ente societario partecipati disciplinati dallo statuto (cfr. Cons. Stato, V, 26 maggio 2015, n. 2602).

Inoltre, con la stessa sentenza i Giudici di Palazzo Spada hanno ricordato, seppur incidenter tartum, che la presenza di enti locali non affidanti non è elemento ostativo all’ammissibilità dell’istituto dell’in house providing e che “il fenomeno dell’in house providing è configurabile addirittura in caso di partecipazione al capitale dell’ente societario partecipato di soggetti privati, sempreché sforniti di poteri di controllo o di veto, e che in caso di in house pluripartecipato occorre che la società controllata «non persegu(a) interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti»”.

Infine, con la medesima sentenza, è stato rilevato anche che l’affidamento a terzi della gestione di segmenti del servizio pubblico non costituisce di per sé elemento indicatore di un’incapacità tecnica nello svolgere le attività oggetto di affidamento diretto, ma può essere spiegato sulla base di valutazioni di convenienza economica.

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